Appassionato dibattito a Belém sul coinvolgimento degli uomini nella lotta alla violenza di genere.
Gli uomini c’erano, al seminario sulla violenza di genere promosso dall’associazione di base “Eneida de Moraes” con lo slogan “Un’altra mascolinità è possibile”, e sono intervenuti in modo almeno altrettanto appassionato.
Senza un ordine apparente, ma con un senso profondo, si sono alternate testimonianze di vittime dirette o indirette della violenza maschile. Di tanto in tanto interveniva, per tirare le fila, una dirigente dell’organizzazione o la magistrata Sumaya Saady Morhy Pereira, responsabile per la violenza di genere nel Ministero della giustizia.
Suo il compito di spiegare che le case rifugio sono utili, ma non risolvono il problema delle donne di come tornare a casa, dallo stesso uomo, e che quindi con lui bisognerà parlare; senza dimenticare che non è lui la vittima e che la relazione di coppia è fondamentalmente ineguale. O che l’alcolismo è uno dei fattori di violenza, ma non l’unico e nemmeno paragonabile al peso della cultura patriarcale. O che la buona volontà di qualche uomo non puo’ far dimenticare che oggi in Brasile il 70 per cento delle donne uccise è vittima del proprio partner, che una donna su quattro ha subito violenza in qualche momento della propria vita e che per il 90 per cento le violenze avvengono all’interno delle mura domestiche. O infine che il problema non può essere relegato nella marginalità, dal momento che il 56 per cento delle vittime di violenza ha un lavoro regolare, anzi a volte guadagna più del partner.
Se il problema è quindi fondamentalmente culturale, bisogna innanzi tutto capire e combattere questa cultura in se stesse (troppe donne tendono a colpevolizzarsi o a giustificare l’uomo) e poi puntare sull’educazione dell’intera società, mettendo l’accento sull’amore.