Colpevoli di abitare troppo vicino alla moschea
Non erano numeri, erano persone: si chiamavano Tahrir, 17 anni, Ikram, 15, Samar, 12, Dina, 8 e Jawaher, 4, e vivevano nel superaffollato campo profughi di Jabalia, dove le casupole sono addossate le une alle altre, divise da viottoli in cui di rado due persone possono camminare fianco a fianco. Non potevano farsi più in là, era l’unica casa che avevano e la loro condanna è stata che fosse troppo vicina alla moschea. E non si è potuta trovare neppure una tomba per ciascuna, ce n’erano solo tre. La loro madre frequenta il Centro salute che AIDOS sostiene, in collaborazione con la Red Crescent Society, nel campo profughi, è una delle donne seguite grazie alla campagna Adotta un madre. Ogni donna sa che perdere un figlio, una figlia è quanto di più terribile posso riservare la vita, cinque insieme è un dolore inimmaginabile. “Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia” scrive Moustapha Barghouti, ricordandoci come “la benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio.”